Il segreto professionale dello psicologo

articolo scritto da Fabrizio lecher

 

 

Costituisce segreto qualunque fatto o notizia che un soggetto intende escludere dalla conoscenza di altre persone. Può riguardare l’onore, la famiglia, il credo religioso, l’ideologia politica, la salute e quant’altro rientri nella sfera intima. È evidente che nell’esercizio di attività professionali particolari quale quella del medico, dello psicologo, dello psichiatra, tanto in modo diretto (durante la visita, durante il colloquio clinico, durante l’anamnesi, durante l’esame degli accertamenti diagnostici) che in modo indiretto (confidenze del paziente, dei familiari, notizie di fatto comunque apprese durante gli incontri) il professionista può entrare nella sfera intima del soggetto, vedendo, ascoltando, intuendo, apprendendo cose sulle quali si estende l’obbligo del silenzio. Nel caso del medico, dello psicologo, dello psichiatra, il segreto non è da riferire soltanto ai fatti concernenti la salute del paziente bensì a qualunque questione, sia essa di natura morale o materiale, che questi abbia interesse a tenere celata. Nel V secolo A.C. Ippocrate con l’espressione inserita nel giuramento del medico «di tutto ciò che vedrò o intenderò nella vita comune durante l’esercizio della mia professione od anche fuori di essa, tacerò quanto non è necessario sia reso noto, considerando in simili casi la discrezione come un dovere» poneva le basi, il fondamento, di quello che doveva essere il rapporto fiduciario tra medico e paziente. Successivamente, nel tempo, diversi organismi sanitari nazionali ed internazionali riaffermavano la validità indiscussa del mantenimento di un tale obbligo. In epoca recente, nel 1948, a Londra, la 3ª Assemblea Generale dell’Associazione Medica Mondiale inseriva un esplicito richiamo al segreto professionale nel Codice Internazionale di Etica Medica approvato in quell’anno. Nel 1983, a Venezia, la 35ª Assemblea Medica Mondiale stabiliva «il medico dovrà preservare il segreto assoluto su tutto ciò che sappia del suo paziente anche dopo la morte di quest’ultimo». Per quanto attiene la professione di psicologo, solo recentemente con l’istituzione dell’Albo, l’obbligo del segreto professionale è stato sancito, come per i medici da norme e regolamenti. Difatti l’art. 4 dell’ordinamento della professione di psicologo (Legge 56 del 18.02.89) prevede, che «il professionista» iscritto nell’Albo è soggetto alla disciplina stabilita dall’art. 622 del C.p.

Nel nostro ordinamento l’obbligo del segreto è attualmente sancito e regolamentato da norme del Codice Penale, del Codice di Procedura Penale nonché, per i medici, del codice deontologico. L’art. 622 C.p., concernente la «rivelazione del segreto professionale» riguarda un delitto contro la inviolabilità dei segreti e risulta così sanzionato «chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato od ufficio, o della propria professione od arte, di un segreto, lo rivela senza giusta causa ovvero lo impiega a proprio o altrui profìtto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino ad un anno o con multa pecuniaria. Il delitto è punibile a querela della persona offesa». Appare evidente quindi che due sono i modi in cui può avvenire la violazione del segreto professionale:

1) rivelazione senza giusta causa allorché senza motivi plausibili e senza che sussistano cause di giustificazione previste dalla legge il segreto venga portato a conoscenza (a voce, per iscritto, permettendo la visione di documenti) di soggetti estranei al rapporto confidenziale;

2) impiegato a proprio o altrui profitto allorché senza comunicare il segreto a persona estranea al rapporto confidenziale venga tentato di trarne un vantaggio personale od un altrui profitto anche se per pura compiacenza (sollecitazione di terzi al fine di conoscere condizioni di salute di una persona, in vista di matrimoni, pericoli di contagio, imminenza di morte). Per la sussistenza del reato di cui art. 622 c.p. la colpa non è sufficiente ma occorre che il medico, lo psicologo, lo psichiatra rivelino dolosamente una notizia che sappiano essere segreta o la impieghino a proprio o ad altrui profitto, consapevoli di agire senza una giusta causa indipendentemente dall’ intenzione di recare nocumento. Se dalla rivelazione della notizia riservata deriva diffamazione o ingiuria il professionista sarà responsabile anche dei reati previsti e puniti dagli artt. 595 e 594 c.p.

La norma concernente la rivelazione di segreti dufficio è sancita dallart. 626 c.p.p. Tale fattispecie rientra nell’ ambito dei delitti contro la Pubblica Amministrazione ed è così sancita «il Pubblico Ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie d’ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se l’agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino ad un anno». La rivelazione dei segreti d’ufficio risulta così punita con pene più gravi di quelle previste dall’art. 622 c.p; e la procedibilità è d’ufficio anziché a querela di parte. In tale fattispecie è anche prevista l’agevolazione colposa. L’ art. 201 c.p.p. fa riferimento invece al personale esercente la professione sanitaria avente la qualifica di pubblico ufficiale, pubblico impiegato od incaricato di un pubblico servizio ed ai vincoli che derivano dal segreto d’ufficio. Tale norma impone l’obbligo di astenersi dal deporre su fatti conosciuti per ragione del loro ufficio che debbano rimanere segreti, ad eccezione dei casi in cui abbiano il dovere di riferire all’Autorità Giudiziaria. Non sussiste, infatti, la rivelazione di segreti d’ufficio laddove ricorra una giusta causa o il passaggio di notizie riservate avvenga nei confronti di persone od enti interessati allo stesso caso ed a loro volta vincolati al segreto per ragione di professione o di ufficio. Tra le giuste cause di rivelazione del segreto professionale vanno distinte:

1) le norme imperative che, in quanto provenienti da disposizioni di legge, obbligano il professionista al dovere di informativa mediante dichiarazione o relazione su fatti relativi all’attività svolta che altrimenti risulterebbero tutelati dal segreto.  Avviene così che laddove il professionista abbia l’obbligo di relazione su fatti accertati nel corso di perizie, consulenze tecniche, arbitrati, visite fiscali, tale obbligo è limitato alle notizie comunque correlate «strictum sensu» all’oggetto e al fine delle indagini richieste. Resta fermo naturalmente il vincolo del segreto nei confronti di altre persone o autorità che non siano quelle cui deve relazionare per legge.

2) le norme scriminative che, essendo previste dal codice penale per ogni tipo di reato, si applicano anche in caso di rivelazione del segreto professionale. Non è pertanto punibile il professionista che avendo ricevuto il consenso del paziente o di chi ne abbia la legale rappresentanza (art. 50 c.p.) renda note notizie segrete apprese nel corso della sua attività. Non sussiste altresì la violazione di segreto allorché ricorra (art; 45 c.p.) il caso fortuito o la forza maggiore (ad esempio: smarrimento di documenti sanitari). Non vi è neppure violazione di segreto quando il professionista sia stato costretto a rivelarlo mediante una violazione fisica (art. 46 c.p.) cui non poteva resistere o sottrarsi. Non è inoltre punibile il professionista che in buona fede cada nell’errore di fatto previsto dall’art. 47 c.p; o sia stato tratto in errore dall’inganno di terze persone e di cui all’art. 48 c.p. (comunicazioni di notizie segrete a persone ritenute o fattisi ritenere prossimi congiunti del paziente). L’esercizio di un proprio diritto o l’adempimento di un dovere imposto dalla legge o da un ordine legittimo della Pubblica Autorità (art. 51 c.p.) nonché uno stato di necessità (art. 54 c.p.), la legittima difesa (art. 52 c.p.) laddove portino alla rivelazione di un segreto escludono la punibilità. Il lavoro d’equipe e la compartecipazione di strutture ed enti all’attività degli esercenti una professione sanitaria comportano a volte che si debbano rendere partecipi del segreto altre persone interessate per ragioni di professione o d’ufficio allo stesso caso. Condizioni essenziali perché il segreto | ossa essere trasmesso e quindi ripartito tra più persone sono:

1) che le persone a cui viene data notizia segreta siano tutte abilitate a conoscerla e tutte vincolate a mantenerla segreta;

Il codice di procedura penale all’art. 200 riconosce il diritto di astenersi dal testimoniare agli esercenti una professione sanitaria che, salvo i casi in cui abbiano l’obbligo di riferire all’Autorità Giudiziaria, non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto in ragione della loro attività. Quello di astenersi dal testimoniare non è un obbligo bensì un diritto degli esercenti la professione sanitaria i quali conseguentemente, in relazione alle circostanze e agli interessi dei propri pazienti, sono liberi di decidere se rendere o meno la loro disposizione. E data comunque facoltà all’Autorità Giudiziaria di ordinare al testimone esercente una professione sanitaria di deporre laddove si abbia motivo di dubitare sulla fondatezza della dichiarazione resa dall’interessato per esimersi dal deporre.

Ulteriore motivo di giustificazione della rivelazione di un segreto è la presenza di una causa socialmente rivelante non contraria ai principi generali dell’ordinamento giuridico tenuto conto che in casi siffatti l’esercente la professione sanitaria si trova a dover procedere con auspicabile equilibrio, cautela, buon senso, per un giusto fine nell’ambito di un conflitto che può generarsi tra l’interesse privato di un paziente e l’interesse pubblico di una collettività.

2) che la conoscenza delle notizie trasmesse rimanga circoscritta nell’ambito delle strutture interessate;

3) che la trasmissione del segreto avvenga nell’esclusivo interesse dell’interessato e con il suo consenso implicito od esplicito;

4) che la ripartizione del segreto tra più persone sia effettivamente necessaria.

Può anche avvenire che la trasmissione di notizie segrete risponda alle esigenze di funzionamento delle strutture nell’ambito delle quali si trova ad operare, od è chiamato ad operare, l’esercente una professione sanitaria. Accade così che la conoscenza del segreto può essere distribuita nell’ambito di un elevato numero di persone non esercenti la professione sanitaria. Tale trasmissione di notizie segrete per via burocratica, correlata essenzialmente ad esigenze di carattere amministrativo e giudiziario, configura la trasmissione di segreti di ufficio e vincola a tale segreto funzionari, impiegati, dirigenti che ne vengano a conoscenza. Le norme contenute nel codice deontologico dei medici prevedono all’art. 14 che «il medico deve serbare il segreto su tutto ciò che gli è stato confidato o che ha potuto conoscere per ragioni della propria professione: deve altresì serbare il massimo riserbo sulle prestazioni professionali».

Tale norma prevede le seguenti condizioni perché possa essere rivelato il segreto:

– se imposto dalla legge;

– se autorizzato dall’interessato;

– se richiesto dai legali rappresentanti del minore o dell’incapace nell’interesse degli stessi.

Gli art. 15 e 16 del codice deontologico richiamano la responsabilità e l’attenzione del medico perché vigili sul personale ausiliario, sui collaboratori, prendendo tutte le precauzioni necessarie ad evitare la diffusione di notizie riguardanti i pazienti. Viene altresì sancito dall’art. 16 che il sanitario «quando utilizza, in pubblicazioni scientifiche, dati clinici ed osservazioni relative ai singoli pazienti deve fare in modo che non sia possibile la loro identificazione fatto salvo il consapevole consenso del paziente». Resta fermo il principio che nel programmare qualsivoglia studio, ricerca, attività, il professionista deve rispettare scrupolosamente le norme etiche che presiedono alla sua attività informando i partecipanti sui vari aspetti dell’iniziativa nel rigoroso rispetto della tutela dei diritti degli individui che verranno sottoposti a studio.